Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Genio assoluto, violinista inarrivabile: su Paganini si è detto di tutto e di più, persino che avesse stretto un patto con il diavolo ma alla base della sua bravura potrebbe esserci una rara malattia.

Più di chiunque altri il violino si associa inevitabilmente a Niccolò Paganini, il più grande violinista di tutti i tempi. Il suo talento finì ben presto sulla bocca di tutti, i suoi Capricci sono celebri in tutto il mondo, divenne una sorta di rockstar che tutti volevano ascoltare suonare e sarebbe riuscito a tirare fuori della musica incredibile persino da un violino economico.

Un losco figuro

L’aspetto di Paganini, il suo stile, diciamo così, si avvicinava a quello del losco figuro. Il suo look non passava inosservato e probabilmente ha contribuito ad alimentare alcune dicerie sulle quali torneremo tra un attimo. Aveva i capelli lunghi, arruffati, qualche dente gli mancava e il naso era piuttosto pronunciato. Cupo, indossava solo abiti neri e portava sempre delle lenti blu che spiccavano sul magro viso pallido. Chissà se ci fosse un calcolo dietro il suo look, fatto sta che l’aurea di mistero che aveva intorno a sé contribuì ad accrescere la sua fama.

Ma a differenza di tante presunte star moderne della musica, Paganini il talento ce l’aveva davvero. Era talmente bravo che sul suo conto iniziarono a circolare delle voci oltretutto avvalorate dal suo aspetto. La sua abilità era tale da spingersi oltre i limiti umani. Si diceva che il musicista avesse siglato un patto con Satana. Quando sopraggiunse la morte nel 1840, Il vescovo di Nizza vietò la sepoltura in terra consacrata, allora il corpo fu imbalsamato e sistemato nella cantina della casa, dove era deceduto. Solo nel 1853 ricevette degna sepoltura nel cimitero di Gaione prima e in quello della Villetta a Parma.

 

Una malattia rara il segreto di Paganini

Che Paganini non godesse di ottima salute è cosa nota aveva contratto la tubercolosi e la sifilide ma secondo le ricerche più recenti soffriva anche di una malattia che probabilmente fu il segreto della sua abilità tecnica. Secondo alcuni studiosi è molto probabile che Paganini soffrisse della sindrome di Marfan, una patologia autosomica dominante che interessa il tessuto cognitivo.

Le manifestazioni della sindrome sono diverse ma tra quelle che riguardano i muscoli e lo scheletro, le persone colpite dalla sindrome denotano una maggiore altezza rispetto alla media, eccessivamente magri, dita lunghe e affusolate. Sembra essere l’identikit di Paganini che proprio grazie alle sue dita riusciva a correre velocemente sulla tastiera del suo violino, a compiere salti melodici di diverse ottave e alternare rapidamente note suonate con l’arco a pizzicate. Il grandioso violinista, dunque, era un disabile che seppe trarre un vantaggio dalla sua condizione, anche se pagato a caro, carissimo prezzo.

Paganini non ripete

“Io sono come Paganini, non concedo il bis”. “Paganini non ripete”. Quante volte avrete sentito dire queste frasi cult pensando che il violinista fosse un tipo altezzoso, snob, pieno di sé. Ma come spesso è accaduto con Paganini, si tratta di una diceria o quasi. In vero la famosa frase ebbe origine nel 1818. Era febbraio e in programma al Teatro Carignano di Torino c’era una esibizione di Paganini alla quale assistette Carlo Felice di Savoia. Il nobile mandò un suo emissario per chiedere al Maestro di ripetere un brano. La risposta del violinista fu netta: “Paganini non ripete”.

Ci fu immediata ritorsione: a Paganini fu fatto divieto di suonare il terzo concerto in programma per l’affronto subito da Carlo Felice. Va detto che non si trattava di un affronto, semplicemente Paganini non era in grado di ripetere innanzitutto perché gran parte di ciò che suonava era frutto di improvvisazione, poi perché il suo modo frenetico, viscerale, di suonare gli causava lesioni ai polpastrelli.

Un uomo generoso

Probabilmente le sofferenze provate da Paganini hanno contribuito ad avvicinarlo alle persone meno agiate. A dispetto delle voci che giravano sul suo conto, in più occasioni ha sfoggiato la sua generosità (senza mai farne vanto, sia chiaro) aiutando i bisognosi e musicisti in difficoltà.

Non di rado i proventi dei suoi spettacoli venivano destinati ai poveri e agli ammalati delle città che ospitavano le sue esibizioni. Tutto ciò era in netto contrasto con un’altra diceria che circolava sul conto di Paganini, ossia, che era uno spilorcio.

 

L’importanza del figlio

Nella vita di ogni genitore i figli hanno una grande importanza ma Achille, così si chiamava il figlio del violinista diede un grande aiuto al genitore quando i suoi problemi di salute si aggravarono.

Quando perse l’uso della parola, il figlio fungeva da messaggero poiché era in grado di leggere dalle labbra del padre. Dopo la morte di Niccolò, Achille si attivò finché tutto il lavoro del padre non andasse perduto, riordinò le opere e tramandò ai nipoti l’affetto per il nonno.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Luca Alessandrini ha vinto un premio da 10.000 sterline grazie al suo rivoluzionario violino costruito con un materiale inimmaginabile fino ad oggi.

Quanto stiamo per raccontarvi non è frutto della fantasia di Stan Lee, ma di un giovane italiano che pur non arrampicandosi e volando da un grattacielo all’altro come Spider-man, ha usato i suoi poteri di ragno o forse sarebbe più corretto dire che ha usato i poteri dei ragni. Se non ci avete capito ancora nulla, non preoccupatevi perché la faccenda diventerà più chiara tra un attimo quando entreremo nel dettaglio. Una cosa la mettiamo in chiaro subito, non è nostra intenzione di parlarvi di albi a fumetti, tantomeno di cinema o di qualsiasi altra cosa abbia a che fare con la Marvel.

No signori… e naturalmente signore, qui si parla di musica e di uno strumento tra i più nobili la cui fama è stata legata persino al diavolo… ricordate le dicerie sul patto con il maligno sottoscritto da Paganini? A questo punto dovreste aver capito che l’argomento è il violino, ma non uno qualsiasi. Noi vogliamo raccontarvi di un violino unico al mondo e no, non è lo Stradivari che pur se pochi sono comunque più di uno. Immaginate il materiale più assurdo per costruire un ottimo volino, ci avete pensato? No, non è quello ma comprendiamo le vostre difficoltà nell’indovinare; chi mai penserebbe alla seta di ragno?

Chi è Luca Alessandrini

La folle intuizione è frutto della mente geniale di un ragazzo italiano, di quelli che vanno all’estero e sanno farsi valere. Luca Alessandrini, 30 anni, è volato da un paesino in provincia di Pesaro alla volta di Londra per un master al Royal College of Art e dell’Imperial College su innovazione, ingegneria e design. L’esclusività del master è tale che c’è una sola classe con 38 studenti ammessi, provenienti da svariate parti del mondo.

Gli ultimi sei mesi del master Luca li ha dedicati a un progetto che mettesse insieme biomateriali e nuovi sviluppi nel settore dell’acustica. La passione del ragazzo per la musica ha avuto un ruolo fondamentale: ha pensato immediatamente al violino, strumento che conosceva.

 

Tentativi dopo tentativi

Luca Alessandrini non è che ha tirato il suo rivoluzionario violino fuori da un cilindro. Prima di incamminarsi verso la via della seta, che nel suo caso non porta in Cina, bensì in Australia, ha dovuto fare diversi tentativi. Ha provato coltivando batteria, utilizzando bioresine, juta e bambù ma niente di tutto ciò sembrava essere in grado di reggere il confronto con la fibra di carbonio. Il ragazzo aveva bisogno di un materiale di identica qualità.

Pensa e ripensa, a forza di sbattere la testa contro il muro l’idea è arrivata: la seta! Per il primo prototipo è stato un violino costruito con strati di seta bioresina. Il risultato era buono ma non del tutto convincente. Messosi in contatto con il dipartimento di zoologia dell’università di Oxford, ha avuto modo di mettere le mani sulla seta di ragni australiani le cui ragnatele sono prodotte con materiale cinque volte più resistente dell’acciaio ma molto più elastico. La seta dei ragni australiani, aggiunta a quella che aveva usato per il primo prototipo, è stata impiegata per realizzare alcuni punti critici dello strumento come l’area sottostante il ponticello.

Approvato dai liutai di Cremona

Completato lo strumento serviva il parere degli esperti che ne certificassero la bontà e chi meglio dei liutai di Cremona, città natia dello Stradivari e con un’antica tradizione alle spalle? I liutai coinvolti si sono mostrati fin da subito entusiasti all’idea. Nonostante Luca temesse un certo scetticismo da parte loro. Il prototipo ha convinto del tutto gli esperti. Il test successivo non era meno impegnativo.

Peter Sheppard Skaerved ha suonato un brano con il violino di luca e poi lo ha ripetuto con il suo Stradivari per un confronto. Il musicista ha preferito non esprimersi sul vincitore della sfida ma ha sottolineato come il violino di seta abbia una notevole ricchezza di armonici.

Premi e riconoscimenti

Il violino di seta ha fruttato a Luca un premio di 10.000 sterline consegnatogli sa Sadiq Khan, sindaco di Londra nel 2016. Il denaro è stato la base di partenza per una startup, la Fiberacoustic, che si serve di nuovi materiali innovativi ed ecosostenibili.

Nel frattempo per il ragazzo sono arrivati altri importanti riconoscimenti come il premio internazionale Andrea Pastocchini nel 2017, il terzo posto ottenuto al contest Dalla Natura al Suono nel 2018, nel 2020 ha ottenuto una menzione dal magazine Architectural Digest come uno dei giovani designer italiani più promettenti. Nello stesso anno Luca ha ottenuto il ricevuto lo A.N.L.A.I. Awards per la ricerca di nuovi materiali nel campo della liuteria.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Vi stuzzica l’idea di imparare a suonare il violino? Vorreste che vostro figlio imparasse lo Strumento? Vi spieghiamo i primi passi da compiere verso la tortuosa e difficile strada del violinista.

 

Pur non avendo sui giovani lo stesso appeal che potrebbe avere la chitarra o la batteria, il violino è uno strumento che non manca di estimatori anche tra i più giovani, anzi, molti iniziano a suonarlo fin da piccolissimi. Chiaramente iniziare presto non basta, anche se è una buona cosa.

Il violino è uno strumento complicato e dunque richiede impegno e disciplina. Comprendiamo che chiedere queste cose a un ragazzino, se non un bimbo, può essere troppo. È giusto pretendere tanto? No, dal piccolo non va preteso nulla, suonare deve essere un piacere non un obbligo ed è importante che i genitori lo comprendano.

Trovare il maestro giusto

La cosa più importante è trovare un buon maestro, non è facile ma lo è ancora meno per i giovani allievi. Perché lo diciamo? Perché insegnare ai bambini richiede un approccio diverso rispetto a quello per le persone adulte o comunque più mature. Con i bimbi bisogna avere pazienza da vendere ma anche sapere come prenderli, come rivolgersi loro e spiegare le cose. Ecco, nel caso di piccoli allievi il maestro dovrebbe essere abile a introdurre lo strumento sotto forma di gioco ma cose del genere non si imparano al conservatorio è più che altro una attitudine innata o un’abilità che si acquisisce dopo anni di esperienza.

La figura del maestro non è fondamentale solo per imparare la teoria e la tecnica, e correggere gli errori durante l’esecuzione degli esercizi o di una musica ma anche per dare consigli, ad esempio, per comprare il miglior violino per quel determinato allievo. Un maestro è in grado innanzitutto di dirci, “compra tal volino”, oppure esprimere un parere su uno strumento che interessa all’allievo o al genitore (nel caso l’allievo sia piccolo per comprarselo da solo). Non si può studiare al meglio su un pessimo studente e il rischio di comprare un cattivo violino è concreto quando si è inesperti.

 

Scegliere una scuola con programma musicale

Una buona alternativa al maestro privato, almeno come prima fase di apprendimento, può essere di scegliere per il figlio una scuola che abbia tra le attività extrascolastiche un programma di educazione musicale. Non sono poche le scuole che praticano il tempo prolungato e prevedono l’insegnamento di uno strumento. È certamente una ottima esperienza formativa anche perché ciò permette ai ragazzi di suonare insieme in una piccola orchestra e in molti casi partecipare anche a dei concorsi.

L’archetto

Quando comprate un violino l’archetto non è teso quindi tocca a voi questa operazione. La tensione dei crini non deve essere eccessiva ma neanche troppo blanda. Una volta tesi i crini dovete passare la colofonia. Non esagerate con la quantità altrimenti il suono del violino sarà stridulo.

Ma vediamo in che modo va tenuto l’archetto. Mettete l’indice sull’impugnatura che si trova tra la fascetta e il tallone. Tenete dolcemente l’archetto, assolutamente non va stretto e non bisogna schiacciare le corde. La parte piatta dei crini vanno appoggiate all’incirca alla metà tra il ponte e la tastiera. Il movimento dell’arco deve essere dritto

La posizione della mano

La mano va sinistra va messa attorno la base del manico, la punta del pollice deve restare visibile e le dita piegate e rilassate. Evitate che il polso e la parte finale del pollice tocchino il manico dello strumento.

L’accordatura

Lo strumento deve essere accordato. L’accordatura standard del violino è Sol, Re, La, Mi. Il metodo più semplice e consigliato per un principiante è servirsi di un accordatore.

Suonare seduti si può

Il violino è uno strumento che spesso si vede suonare in piedi ma ciò non toglie che lo si possa fare anche da seduti. È importante che la sedia favorisca la postura corretta, pertanto quelle morbide non vanno bene perché complicherebbero l’assunzione della suddetta postura in quanto la schiena tenderebbe a incurvarsi.

 

Suonate le corde a vuoto

Per cominciare a prendere confidenza con lo strumento, il primo esercizio prevede che si suonino le corde a vuoto. Tenete il manico tra il pollice e l’indice. Arco, polso, gomito, spalla e punto di contatto vanno tenuti sullo stesso piano. Il cambio della corda deve avvenire alzando e abbassando l’altezza del gomito. All’inizio è bene provare con movimenti brevi di 10 centimetri circa per poi ampliarli fino a sfruttare tutta la lunghezza dell’archetto. Questo primo esercizio è fondamentale e deve essere eseguito bene. Bisogna esercitarsi fin quando non si riesce a suonare una corda alla volta senza toccare le altre. Esercitarsi davanti a uno specchio aiuta molto poiché permette di osservarsi e notare più facilmente eventuali errori.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Quando si parla di chitarre non si può prescindere da un marchio che ha portato nel settore una vera e propria rivoluzione con la Telecaster prima e la Stratocaster poi.

L’importanza avuta da Fender nel mondo delle chitarre è nota a tutti; il marchio se la gioca alla pari con Gibson nella battaglia della produzione di chitarre elettriche (i migliori modelli) storiche. Sono tanti i chitarristi famosi che non si sono separati mai dalla loro Stratocaster, chitarra che più di altre Fender è entrata nella leggenda. Certo, il marchio sta passando un periodo non esattamente idilliaco, anche se nulla a che vedere con la crisi che ha investito il principale competitor Gibson.

La situazione non è rosea ma riguarda tutti i fabbricanti di chitarra poiché il mercato è in stagnazione, non c’è il ricambio generazionale auspicato. Ma questi sono altri discorsi perché siamo qui per parlarvi di grandi chitarre.

Leo Fender

Protagonista della vicenda è Clarence Leonidas Fender, Leo per gli amici. Leo, nato il 10 agosto del 1909 ad Anaheim sapeva fare molte cose ma suonare la chitarra non era tra queste. Non che non avesse confidenza con la musica, anzi, si dice fosse un discreto sassofonista. Era interessato all’elettronica, anche se agli studi di ingegneria preferì le scienze economiche. Il titolo di studi gli permise di lavorare come contabile allo State of California Highway Department.

Ma Leo sapeva anche riparare le radio, poi si interessò agli impianti di amplificazione. Da lì ad aprire il Fender Radio Service nel 1938 il passo fu breve. L’attività andava a gonfie vele, vendeva prodotti di elettronica di consumo ma anche dischi e spartiti musicali. Ben presto il Fender Radio Service divenne un luogo d’incontro per gli appassionati di musica della zona, i chitarristi gli portavano le loro chitarre per delle riparazioni, Fender ascoltava le loro esigenze imparò cosa un chitarrista voleva dal suo strumento.

 

L’incontro con Clayton Orr Kauffman

La svolta arriva quando Fender incontra Clayton Orr Kauffman, musicista e inventore. Dal loro sodalizio nacque la K&F Company nel 1945 che si dedicò alla produzione di chitarre Lap Steel e amplificatori; si trattava di una produzione in piccola quantità. L’esperienza durò circa tre anni poi i due si separarono, anche se rimasero grandi amici fino all’ultimo.

Il lancio della Telecaster

L’esperienza con Kauffman aveva permesso a Fender di acquisire maggiore esperienza, imparare nuove cose ma anche di diventare una sorta di visionario. L’idea era di realizzare una solid body. Il primo passo fu di fondare una nuova compagnia, la Fender Musical Instruments. Nel 1950 arrivò sul mercato la Esquire. C’era un problema, quel nome era di proprietà della Gretsch che all’epoca era il maggior produttore del settore.

Nell’attesa di trovare un altro nome, la chitarra fu ribattezzata Broadcaster come l’etichetta della paletta. In seguito la chitarra fu chiamata Telecaster. Ma cosa aveva di vincente la chitarra? Non era solo una questione di suono, l’estetica aveva giocato un ruolo fondamentale nel successo dello strumento e questo Fender lo aveva capito bene: le chitarre dovevano essere anche oggetto di design e colpire gli occhi oltre che le orecchie.

La struttura della chitarra era semplice: manico e corpo erano uniti da viti, sistema che ha ridotto i costi di produzione; di conseguenza Fender, rispetto alla concorrenza poteva proporre buone chitarre ma a prezzi inferiori. La scelta del frassino per il corpo risolveva il problema del feedback quindi si poteva suonare a volumi più alti.

Fender Precision Bass

Nel 1951 Fender lancia il suo primo basso: il Precision Bass. Lo strumento si caratterizza per un timbro pieno e corposo e per la tastiera con 20 tasti Il basso, inoltre, rispetto al contrabbasso, era più leggero, meno ingombrante e dunque più maneggevole. Altra cosa importante, il basso di Fender era amplificabile. Nelle intenzioni di Fender, il basso poteva essere suonato anche dai chitarristi, ecco perché lo dotò dei tasti.

Ciò originò l’idea di chiamarlo Precision perché un manico del genere permetteva di prendere con precisione la nota anche da musicisti meno esperti. Da un punto di vista estetico, Fender si ispirò alla Telecaster. Il corpo era in frassino mentre manico e tastiera in acero. C’era un solo pick-up al centro. Nel 1957 Fender presentò una nuova versione del Precision ma questa volta il design era simile alla Stratocaster mentre il pick-up (single coil split) aveva due magneti separati che grazie alla polarità opposta generavano un suono ancor più corposo e caldo.

Stratocaster

Antagonista della Gibson Les Paul con la quale è in perenne lotta, è la Fender Stratocaster. Lo strumento è frutto della collaborazione di Leo Fender con Freddie Tavares, Rex Gallion e Bill Carson e fu completata nel 1954. Fender voleva una chitarra che introducesse novità sia tecniche sia di design. In particolare voleva una chitarra più ergonomica rispetto alla Telecaster.

La forma era molto particolare: scavata sulla spalla e questo consentiva di raggiungere agevolmente le note più alte. Aveva la leva del vibrato integrata al corpo, il sustain era notevole e il ponte con stelette consentiva una regolazione accurata, i pick-up al manico e al centro erano perpendicolari alle corde mentre quello al ponte era angolato di 20° per enfatizzare i toni alti. L’unica vera modifica rispetto al primo modello ci fu nel 1977 quando il selettore a tre posizioni fu sostituito da uno a cinque grazie al quale si potevano utilizzare due pick-up in contemporanea.

 

Un calo qualitativo

Con il passaggio dell’azienda alla CBS nel gennaio del 1965 la qualità degli strumenti ebbe un calo: Molte modifiche furono apportate al solo scopo di velocizzare il processo di produzione. Anche i materiali non erano più gli stessi, in particolare il ponte era in metallo pressofuso di qualità inferiore rispetto al precedente e anche la scelta delle vernici in poliestere non aiutò.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Molto più che semplici strumenti, alcune hanno persino un nome, e sono state suonate da abili musicisti legandosi alla loro storia.

Molte chitarre elettriche hanno raggiunto la fama grazie ai chitarristi che l’hanno suonata, altre invece sono entrate nella storia della musica per la loro qualità, per il produttore. Molto spesso si è trattato di un vero e proprio connubio tra strumento e musicista, alcuni matrimoni sono stati dettati dall’amore, altri invece combinati nel senso che alcuni chitarristi utilizzano la chitarra X per contratto, prestano la loro immagine in cambio di denaro: se preferite potete chiamarli influencer. Ma mettiamo da parte questi discorsi e andiamo alla scoperta delle 10 chitarre che sono diventate famose.

Lucille

È una nostra fissa, ci siamo sempre chiesti se la scelta degli sceneggiatori di Walking Dead di chiamare Lucille la mazza da baseball di Negan fosse una sorta di omaggio e BB King. La sua Gibson 355-TD, infatti, era stata ribattezzata dal bluesman proprio così: Lucille. È interessante raccontare la sua storia. Si dice che nel 1946 il chitarrista si gettò tra le fiamme per salvare la sua chitarra mentre due uomini erano impegnati in una scazzottata per una donna di nome Lucille. Il risultato fu che la chitarra si salvò mentre i due contendenti morirono. Da quel giorno tutte le chitarre che BB King ebbe, si chiamarono Lucille.

 

Blackie

Altra chitarra che non ha bisogno di presentazioni è Blackie; una chitarra costruita da Eric Clapton assemblando i pezzi di tre strumenti. Vale la pena raccontare la storia che c’è dietro la chitarra. Clapton compro per poche centinaia di dollari sei Fender Stratocaster degli anni ’50. Tre di queste furono regalate a Pete Townshend, George Harrison e Steve Winwood. Con le rimanenti costruì Blackie. Clapton suonò per la prima volta la sua creatura nel 1973 al Rainbow Concert. La chitarra prestò servizio fino al 1985. Successivamente venne venduta all’asta per 960.000 dollari.

Frankenstrat

Anche Eddie van Halen investì poco più di un centinaio di dollari per realizzare la sua famosa Frankenstrat. Comprò corpo e manico Boogie Bodies e li verniciò con vernice spray. Da una Stratocaster del ’58 rimediò un ponte vintage mentre il pick-up era il paf montato su una Gibson 335 del ’59. Per evitare feedback lo immerse nella cera; fu avvitato nel legno. Per il battipenna ritagliò un vinile di una band che evidentemente non apprezzava molto.

Red Special

Red Special è solo uno dei tre nomi con la quale è conosciuta la buona chitarra elettrica (ecco la lista dei migliori prodotti) di Brian May; gli altri due sono Old Lady e Fireplace. Il chitarrista, aiutato dal padre, impiegò circa due anni per completare la chitarra. Per il manicò lavorò la mensola di un vecchissimo camino, diciamo pure antico. Per la tastiera e il corpo scelse legno di quercia. Il binding fu ricavato dal bordo di una libreria. Curioso ciò che costituisce il ponte: la lama di un coltello e le molle originariamente di una moto. Come pick-up la scelta ricadde su dei Burns Trisonic.

Concorde

Randy Rhoads sentiva l’esigenza di avere una chitarra fatta su misura per lui. Si rivolse a Grover Jackson che all’epoca era il solo proprietario della Charvel Guitars e gli propose la sua idea: una versione differente della Flying V. Nelle idee del compianto chitarrista la chitarra doveva essere più leggera, ergonomica e avere il ponte mobile. Seguendo queste indicazione, nel 1980 nacque le Concorde che oggi è conosciuta come la Jackson Randy Rhoads.

La Gibson SG di Angus Young

Il chitarrista degli AC/DC Angus Young ha indissolubilmente legato la SG alla sua carriera; la utilizza praticamente da sempre e pare ne abbia una vasta collezione. Questo strumento fu progettato all’inizio degli anni ’60 ma non piacque a Les Paul il quale pretese che il suo nome non fosse associato allo strumento. Chissà se non se ne sarà pentito, visto il successo ottenuto.

La prima Gibson Les Paul

Non poteva mancare il gioiello nato grazie a Les Paul. Il chitarrista inizio lavorando sulla cassa di una Epiphone e giunse al primo prototipo che battezzò The Log. Propose il modello a Maurice H. Berlin che era il capo della MIC amministrata da Gibson. L’idea non piacque e Les Paul tornò a casa con un pugno di mosche.

Nel 1959 alla guida di Gibson c’era Ted McCarty che spinse la compagnia verso la produzione dei modelli solid body. In azienda si ricordavano ancora del prototipo di Les Paul e lo richiamarono per lavorarci su e migliorarlo. Stava nascendo la prima solid body Gibson con caratteristiche ben precise: cassa in mogano, top in acero, bombata e con la cassa armonica che si ispirava a quella dei violini. Per pick-up furono scelti due single coil P-90. Nel prototipo il ponte fermacorde era un trapezio collegato al reggicinghia ma nel modello definitivo le corde erano fissate a un nuovo ponte inventato da Les Paul.

Steve Vai e la sua Ibanez Jam

La Jem si affaccia sul mercato con innovazioni strabilianti per l’epoca; pensate che fu presentata per la prima volta al NAMM del 1987. La chitarra aveva tre pick-up Di Marzio con split sulle posizioni due e quattro e il filtro passa alto. Lo scasso ricordava l’artiglio di un orso così da permettere una maggiore escursione al Floyd Rose. I tasti erano 24 e grazie al cut-away era possibile arrivare agevolmente alle note più alte. Caratteristica, poi, la maniglia monkey grip. I colori erano molto vivaci.

Esquire/Telecaster

Il giovane Bruce Springsteen restò folgorato da una chitarra vista in un negozio. C’era un problema: non aveva i 180 dollari necessari all’acquisto. Poi accadde che formò un contratto con la Columbia Records, intascò l’assegno e corse a comprare quella chitarra che aveva il manico Esquire e il corpo della Telecaster anni ‘50. Nel corso degli anni il Boss ha suonato tantissimo quella chitarra e sottoposta a una infinità di interventi fino al giorno della meritata pensione.

Carl

I Metallica hanno provato nel garage di una casa ubicata a Carlson Boulevard, California, dal 1983 al 1986. In quel luogo sono nati i pezzi di Ride of the lightning e Master of puppets. Il legno proveniente da quel garage è stato usato per costruire la nuova chitarra del frontman James Hetfield.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Mettere le mani su questo strumento è difficile ma non impossibile; basta l’impegno ed essere motivati dalla passione per raggiungere livelli altissimi ma, ricordate, la prima regola è divertirsi.

 

La chitarra è uno strumento complicato, le sue potenzialità vanno ben oltre il classico giro di DO che tutti imparano. Il percorso per imparare a suonarla è lungo, tortuoso, non primo di difficoltà ma non stiamo parlando di un’impresa impossibile. Molto dipende, poi, dagli obiettivi che uno si pone perché la chitarra può essere suonata a più livelli dal più basso, che possiamo definire quello dello strimpellatore, al più alto che è quello dei virtuosi.

Ma in tutto questo sapete qual è l’unica cosa davvero importante? È divertirsi. Se quello che fate vi fa star bene, allora è la cosa giusta. Se la vostra passione vi spinge a suonare seriamente lo strumento, magari andando al conservatorio, è la cosa giusta.

Chitarra classica a chi?

Avete deciso di voler imparare a suonare la chitarra, perfetto. Allora bisogna innanzitutto comprarne uno. Qui si pone il primo dilemma. L’amico di vostro padre, che nella vita fa tutto meno che suonare la chitarra, l’ha convinto che per forza di cose dovete comprarne una classica se volete imparare. Non dategli ascolto, la chitarra classica è solo una delle possibili opzioni, potete anche comprare una delle chitarre elettriche vendute online o perché no, una acustica o elettroacustica.

Il tipo di chitarra va scelto tenendo conto dei vostri gusti musicali. Attenzione perché non stiamo mettendo in dubbio la validità di una formazione classica ma questa diventa un obbligo solo se volete studiare con estrema serietà e dedizione lo strumento indipendentemente dalle vostre preferenze musicali allo scopo di essere un chitarrista completo. È nostra opinione è che se ad esempio vi siete innamorati della chitarra elettrica è giusto che impariate a suonare quella anche perché se non sufficientemente motivati, iniziare con la classica potrebbe smorzare il vostro entusiasmo e annoiarvi con la conseguenza di abbandonare tutto.

 

 

Individuato il tipo di chitarra, è probabile che ci sia un budget dentro il quale restare. Ma affrontiamo un attimo un caso particolare, quello del ragazzino che vuole la chitarra ma senza per questo volerla studiare, almeno non subito. In questo caso conviene stanziare un budget piccolo, diciamo 100 o 150 euro. A queste cifre si possono prendere chitarra e amplificatore se, se ne vuole una elettrica, chiaramente la qualità sarà piuttosto bassa, oppure una chitarra classica o acustica decente per lo scopo.

Se invece il ragazzino vuole studiare la chitarra, allora l’investimento deve essere maggiore. Bisogna consegnare nelle sue mani una chitarra con buone meccaniche innanzitutto, un manico scorrevole e una buona action, tutte cose che aiutano a rendere meno complicato esercitarsi seriamente.

Trovate un buon maestro

Per imparare seriamente lo strumento l’aiuto di un maestro, possibilmente bravo, è fondamentale. Avere una persona che spieghi come eseguire gli esercizi e vi osservi mentre li fate eventualmente correggendo i vostri errori, è un grande aiuto. Inoltre un maestro può aiutarvi a comprendere meglio la teoria musicale. Non solo, un maestro può consigliarvi sullo strumento, anzi, su tutta la strumentazione e spronarvi a fare meglio.

Imparare da soli si può

Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato come sia importante essere seguiti da un maestro; tuttavia possono esserci una serie di ragioni che rendano la cosa impossibile, vuoi per i costi da sostenere, vuoi per la difficoltà a trovarne uno non troppo lontano da casa. Non avere un maestro non preclude la possibilità di imparare a suonare la chitarra. In commercio ci sono tantissimi metodi per autodidatti.

La scelta del metodo va fatta con un certo criterio. Per intenderci, il principiante deve scegliere un metodo appositamente pensato per la sua preparazione che è zero o quasi. Dunque gli esercizi, a difficoltà crescente, devono essere abbastanza semplici e in grado di accompagnare lo studente passo dopo passo. Tutto deve essere spiegato in modo chiaro ed è meglio avere un supporto audio, insomma, un bel DVD in allegato non guasta. Completato il metodo potete scegliere di fermarvi lì oppure proseguire, migliorando con corsi di chitarra avanzati che presentano esercizi più difficili.

Le tecniche chitarristiche

Quante tecniche dovrebbe conoscere un chitarrista? Beh, uno musicista se vuole essere completo dovrebbe conoscerne il più possibile ed essere in grado di metterle al servizio della sua musica. Tuttavia è possibile specializzarsi su quelle funzionali al genere musicale che si preferisce suonare. In questa fase potete servirvi di metodi di chitarra dedicati a specifici generi, pensiamo alla chitarra blues, heavy metal, jazz e così via.

 

Fate con calma

Molti aspiranti chitarristi hanno il brutto vizio di avere fretta; commettono l’errore di preoccuparsi di svolgere l’esercizio velocemente invece che di eseguirlo bene. È importante essere precisi prima che veloci e per essere precisi bisogna andare piano fin quando non si acquisisce l’abilità che permette di eseguire l’esercizio in modo pulito e velocemente.

Altra cosa fondamentale, seguite gli esercizi nel loro ordine e non passate mai al seguente fin quando il precedente non lo avete eseguito a opera d’arte. Avere dei modelli di riferimento è importante, chi suona la chitarra ha dei chitarristi preferiti: osservandoli e ascoltandoli attentamente potete imparare tanto.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Chissà quanti di voi avranno iniziato a suonare la chitarra proprio con uno dei riff che abbiamo selezionato: si tratta di canzoni storiche, spesso semplici ma probabilmente è proprio questa la loro forza.

Ci sono riff di chitarra immediatamente riconoscibili, spesso sono più noti della stessa band o chitarrista che quei riff li ha composti; è bizzarro ma è così. Molti di questi riff sono i primi che il chitarrista in erba suona. Secondo alcune leggende metropolitane ci sarebbero addirittura dei negozi di strumenti musicali con le chitarre elettriche più vendute che espongono cartelli per vietare di suonare questa o quella canzone; molto spesso si tratterebbe di Smoke on the water oppure Stairway to heaven, ma su questi due pezzi ci torneremo a breve.

Ebbene sì, vi abbiamo dato una piccola anticipazione, ma dopo tutto siamo certi che la maggior parte di voi aveva intuito che questi due brani storici avrebbero fatto parte della lista. Bene, allora cominciamo presentandovi proprio queste due note canzoni di Deep Purple e Led Zeppelin.

Deep Purple - Smoke on the water

Per molti chitarristi quello di Smoke on the water è stato il primo riff suonato, non solo perché famosissimo ma anche di facile esecuzione. La canzone fa parte dell’album Machine Head pubblicato nel 1972. Come molti sapranno il testo fu ispirato da un incendio che distrusse un casinò di Montreux, in Svizzera, dove la band si trovava per registrare il disco. Frank Zappa stava tenendo un concerto nel casinò quando uno dei presenti sparò un razzo segnaletico all’interno del locale e originò l’incendio.

 

Led Zeppelin – Stairway to heaven

Stairway to heaven, a nostro avviso (ma sappiamo di essere in tanti a pensarla così) è una delle canzoni più belle della storia del rock e si trova sul disco Led Zeppelin IV pubblicato l’8 novembre 1971. Il brano si sviluppa su più strati con lo scopo di coinvolgere diversi stati d’animo.

Led Zeppelin - Whole Lotta Love

Impossibile non citare il riff di Whole Lotta Love, altro pezzo famosissimo e inciso su Led Zeppelin II nel 1969. Il brano, tra l’altro, finì al centro di una disputa legale per accusa di plagio del testo che era molto simile a You Need Love di Muddy Waters, anche se scritta da Willie Dixon, il quale ottenne un risarcimento dopo la disputa legale.

Black Sabbath – Paranoid

Un altro riff di chitarra molto famoso e di facile esecuzione è quello di Paranoid, brano presente sull’omonimo album pubblicato dai Black Sabbath nel 1970. E dire che inizialmente la band non puntava molto su questo pezzo tanto è vero che fu registrato più che altro per raggiungere un minutaggio sufficiente del disco. Con evidente grande sorpresa, la canzone divenne un successo e più di altre rappresenta la band.

J.J. Cale/Eric Clapton – Cocaine

Cocaine è un altro dei classici primi riff suonati dagli aspiranti chitarristi. La cosa curiosa è che ad averlo portato alla ribalta sia stato Eric Clapton ma non tutti sanno che in realtà l’ex Cream propone una cover di J.J. Cale che la incise per l’album Troubadour nel 1976. L’anno seguente Clapton propose la sua versione su Slowhand. Nel 2006 i due musicisti unirono le loro forze per l’album The Road to Escondido.

Billy Roberts/Jimi Hendrix – Hey Joe

Probabilmente Jimi Hendrix avrebbe dovuto monopolizzare il nostro articolo vista l’incredibile mole di riff rimasti impressi nella memoria di tutti. Con lui si può pescare a caso ed essere certi di non sbagliare. Hey Joe è un brano di Billy Roberts ma, come nel caso di Clapton con Cocaine, è stato Hendrix a dare fama mondiale a un pezzo che lo meritava davvero.

AC/DC – Back In Black

Back In Black contiene uno dei riff più famosi degli AC/DC ed è ritenuto uno dei grandi classici del rock. Anche in questo caso parliamo di un riff semplice, come del resto da tradizione degli AC/DC, ma che resta impresso immediatamente nella mente degli ascoltatori. La canzone fu pubblicata nel 1980 sull’omonimo album.

Guns N’ Roses - Sweet child o’ mine

Chi non conosce il riff di Sweet child o’ mine? Siete in pochi, vero? La canzone è tra le più famose della band, presente sull’album Appetite for destruction del 1988 e ha contribuito a costruire le fortune di Axl e compagni.

 

(I can’t get no) Satisfaction – Rolling Stones

Riff di fama mondiale è anche quello di Satisfaction dei Rolling Stones, un brano composto dal sodalizio Mick Jagger e Keith Richards. La canzone è presente su Out of our hands del 1965 e portò per la prima volta la band sulla cima di Billboard Hot 100.

 

Smells like teen spirit – Nirvana

Qualcuno potrebbe storcere il naso leggendo il nome dei Nirvana ma è innegabile che il riff di Smells like teen spirit, canzone presente su Nevermind del 1991, sia tra i più noti di tutti gli anni ’90.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

In molti hanno provato a ucciderlo ma lui è ancora qui per fare baccano: passa il tempo, passano le mode ma il rock no, nonostante quello tanti che dicono.

 

“Il rock è morto!”, sapete quante volte in passato si è detta questa frase? E la sentirete dire ancora in futuro. È sempre stata così ma l’erba cattiva non muore mai; sappiatelo. E sì perché nella storia della musica il ruolo di cattivo l’ha sempre ricoperto il rock: pericoloso, deviante, diabolico perfino. Inutile negarlo, il rock hanno provato a ucciderlo in tanti a cominciare dalle case discografiche che pur da questa musica hanno tirato su milioni, ma anche certe emittenti televisive che si arrogano il diritto di dire ai ragazzi quale musica ascoltare per passare poi da chi più di altro quella musica avrebbe dovuta difenderla essendone esponente.

Eh sì, perché c’è chi ha tradito. Lo ha fatto per calcolo, convenienza… insomma, per soldi, più di quanti non ne avesse già. C’è a chi è andata bene e chi, invece, è furbamente tornato sui suoi passi giustificandosi con la necessità di un ritorno alle radici (eppure le aveva tradite senza pensarci più volte), oppure finendo nel dimenticatoio (ben gli sta).

 

Altro che dinosauri

Il punto di vista è sbagliato: lo stato di salute di un genere musicale lo si giudica solo dai dati delle vendite. Il rock non è questo; non è il conto in banca del musicista. Il problema è stato volerlo trasformare in qualcosa di mainstream per masticarlo e sputarlo al momento di lanciare una nuova moda. Qualcosa nel piano è fallito: se band come Rolling Stones o AC/DC riescono ancora a riempire gli stadi con i biglietti che spariscono a tempo di record, ci sarà pur un po’ d’interesse verso questa musica?

 

 

Si dirà che sono dinosauri e, sparate le ultime cartucce, dopo ci sarà il vuoto assoluto. Ma queste sono le parole dei detrattori. Se così fosse, ai loro concerti ci sarebbero solo dei vecchi nostalgici rocker e non anche dei quindicenni che già conoscono a memoria tutti i pezzi in scaletta. E quei ragazzi che oggi sono accorsi a vedere i cosiddetti dinosauri saranno gli stessi che costituiranno la fan base delle nuove band, se saranno meritevoli perché il vero fan del rock è così: se ne frega delle mode, della dittatura dei media e di tutto il resto; non guarda MTV e schiva come appestati quei gruppi che sanno di plastica, costruiti a tavolino solo per sfruttare la moda del momento.

 

La crisi dell’industria musicale

Che l’industria musicale sia in crisi è evidente ma questo problema riguarda le vendite. C’è una certa riluttanza a comprare musica perché facilmente fruibile online senza dover pagare nulla. Napster è stata quella porta che nel più classico dei film horror non andrebbe mai aperta e invece puntualmente accade. Eppure il fan della musica rock è quello più fedele che sostiene il suo gruppo preferito comprandone i dischi per quell’esigenza di avere un prodotto fisico tra le mani e il ritorno del vinile n’è la prova non solo con nuovi titoli ma anche e soprattutto con le ristampe dei dischi che del rock hanno fatto la storia.

Ma se prendiamo un indice diverso dalle vendite dei dischi, come per esempio gli spettacoli dal vivo, scopriamo che la gente, i fan, continuano ad andare ai concerti, al netto di una crisi economica generale che colpisce un po’ tutti. Comprano biglietti a cifre talvolta assurde, per non parlare di quanti pur di non perdersi la band preferita si rivolgono al secondary ticketing e arrivare a spendere anche tre volte tanto il prezzo originale del biglietto. E se Adele o Jay Z fanno sold out, non è diverso per le rock band.

 

 

Il rock non morirà mai

Il rock non morirà mai, almeno fin quando in una cantina o in un garage ci sarà un ragazzino che impugnando la sua chitarra elettrica economica suonerà quei riff che hanno fatto la storia del genere, sognando un giorno di scrivere canzoni sue. Il rock regala emozioni uniche e fino a prova contraria i morti non lo fanno. Se cercate un cadavere non fatelo qui, provate in uno di quei tanti talent in TV oppure tra quei tormentoni che durano il tempo di un’estate; musica usa e getta per ascoltatori distratti.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Nonostante la strenua difesa della sua poltrona e i disperati tentativi di rientrare dai debiti contratti, Henry Juszkiewicz ha dovuto abdicare in favore di James Curleigh: è lui il nuovo CEO di Gibson.

 

Sono tanti i marchi, nel corso degli anni, ad essere entrati nel mercato ma in pochi possono dire di essere entrati nella storia. Gibson è certamente tra questi e potete star certi che al mondo non c’è chitarrista che non sogni di suonare almeno una volta nella vita una Les Paul, strumento che più di altri rappresenta Gibson nel mondo; non che la SG non sia un’ottima chitarra ma a livello di immaginario collettivo, non può reggere il confronto.

Purtroppo il mercato è spietato e della storia se ne frega altamente. Se si fanno scelte sbagliate, azzardate, nessuno è immune ed è così che Gibson ha dovuto fare i conti con i debiti.

 

Una situazione drammatica

Proviamo a fare un attimo i conti in tasca della Gibson. Il marchio è esposto per svariati milioni di dollari ma proviamo a dare qualche numero. Cominciamo dalle obbligazioni che ammontano a 375 milioni di dollari, poi ci sono i prestiti ottenuti dagli istituti di credito che sono circa 150 milioni. Queste stime, probabilmente, sono al ribasso perché secondo le fonti in possesso della CNN e Bloomberg l’esposizione nei confronti delle banche potrebbero essere maggiori; ma già così il quadro è molto più che preoccupante. Tuttavia queste cifre sono bruscolini se guardiamo al debito generale che è di ben 1,6 miliardi di dollari.

 

 

La crisi non risparmia nessuno

Una cosa è certa, la crisi non risparmia nessuno. Il settore ha visto un calo delle vendite. Dire che non si vendono più chitarre sarebbe scorretto. È invece corretto dire che se ne vendono meno, molto meno. Quali le ragioni? Ognuno ha la sua opinione. C’è chi come Richard Ash, attualmente CEO di Sam Ash Music, che ritiene che i clienti stiano invecchiando e presto non ci saranno più. In sostanza mancherebbe il necessario ricambio generazionale.

Altri imputano la crisi alla scomparsa dei “guitar hero”. Ma è anche innegabile che la crisi finanziaria non tocca solo le aziende ma anche i consumatori che hanno sempre meno denaro da spendere e una chitarra da 2.000 dollari in su non è alla portata di tutti. La concorrenza l’ha capito prima immettendo sul mercato chitarre economiche ma che non fossero troppo simili a dei giocattoli. Una strategia che alla fine è stata adottata anche da Gibson che ha lanciato la Epiphone (controllata da Gibson) Les Paul SL a 99 dollari.

 

L’origine della crisi

Dove sta l’origine della crisi. Non nelle chitarre. È vero, gli strumenti non si vendono più come prima e il calo dei ricavi è stato evidente ma comunque in attivo. Le colpe del pessimo stato finanziario di Gibson sono da ricercare altrove, è causa di una serie di acquisizioni che si sono rivelate sbagliate. La scelta dell’ormai ex CEO Henry Juszkiewicz di investire nell’elettronica di consumo si è rivelata sbagliata, a essere magnanimi. Questo ramo dell’azienda è la zavorra che la sta tirando a fondo.

 

Il piano Juszkiewicz

Il salvataggio di Gibson è passato dal Chapter 11, una norma della legge fallimentare statunitense che consente la ristrutturazione delle imprese coinvolte da un dissesto finanziario. Fondamentalmente si tratta di un’amministrazione controllata. Juszkiewicz ha pianificato di monetizzare titoli azionari, proprietà immobiliari e le attività che non hanno generato i profitti sperati per ricavare la liquidità necessaria a sostenere quei rami dell’azienda con il fatturato in positivo. Questo piano, probabilmente, è stato l’ultimo baluardo del CEO di difendere il suo ruolo. La verità che i creditori volevano la sua testa più che rientrare in possesso del denaro e alla fine, nonostante la strenua resistenza di Juszkiewicz, l’hanno ottenuta.

 

 

Inizia l’era Curleigh

Da novembre 2018 il nuovo CEO è James “JC” Curleigh con un passato alla Levis Strauss. Con il suo arrivo, l’intero quadro dirigenziale è stato cambiato. Cesar Gueikian è il CEM mentre Kim Matton è la CFO. Il ruolo di CPO è coperto da Christian Schmitz e dal novembre 2020 Mark Agnesi ricopre il ruolo di Director of Brand Experience.

Una delle prime messe di Curleigh è stata riportare Gibson al NAMM dopo l’assenza del 2018 dovuta ai problemi finanziari. Ovviamente la partecipazione all’evento è stata l’occasione per Gibson di presentare i nuovi modelli per il 2020. Tuttavia la vera novità è stata la decisione di spostare la produzione di chitarre da Memphis a Nashville dallo scorso aprile, già sede del quartier generale della compagnia. Quanto al futuro dei 65 impiegati, Gibson ha fatto sapere che la maggior parte ha accettato di trasferirsi per continuare a lavorare.

 

 

Ultimo aggiornamento: 24.09.20

 

Dieci album sono pochi per raccontare il rock ma questa è la nostra selezione anche se siamo consapevoli di non poter mettere tutti d’accordo.

La musica non è una competizione, nonostante ci propinino concorsi musicali e festival con vincitori e sconfitti. Le note corrono sul pentagramma non dietro un pallone o su un autodromo ecco perché i dieci dischi che secondo noi hanno fatto la storia del rock non vanno intesi come una classifica, dunque non fate caso all’ordine con il quale li presentiamo e soprattutto non considerate le nostre opinioni come verità assoluta.

La musica è soggetta ai gusti, alle emozioni di chi l’ascolta anche se oggettivamente ci sono album che più di altri sono emersi per popolarità e per come hanno influenzato generazioni di musicisti che proprio grazie a questa musica hanno deciso di comprare le migliori chitarre elettriche e mettere in piedi una band.

Led Zeppelin IV

I Led Zeppelin hanno scritto pagine importanti della storia del rock, pescare dalla loro discografia non è semplice. Alla fine abbiamo ritenuto opportuno puntare su Led Zeppelin IV non fosse altro per un brano incredibile e meraviglioso come Stairway to Heaven ma anche per le travolgenti Rock and Roll e Black Dog. L’album fu pubblicato nel 1971 dalla Atlantic Records e probabilmente rappresenta l’apice creativo di Robert Plant (grandiosa la sua prova dietro al microfono), Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham.

 

Guns N’ Roses – Appetite for destruction

Se vi piace il rock stradaiolo converrete con noi che Appetite for destruction assolutamente non poteva essere lasciato fuori dalla classifica, con buona pace di chi si aspettava solo album pubblicati negli anni ’70. Il disco arrivò nei negozi in una calda estate del 1987 ma, a causa di una copertina giudicata eccessiva, le prime stampe furono ritirate per essere sostituite con una cover che non causasse problemi a qualche negoziante benpensante. E chi lo avrebbe mai detto che la primissima edizione di Appetite for destruction sarebbe diventato un oggetto da collezione? Ma concentriamoci sulla musica ovvero sulle hit Welcome to the jungle o Sweet child o’mine, un pezzo magari banale ma che l’assolo di Slash fa alzare di livello.

Jethro Tull – Aqualung

Nel 1971 i Jethro Tull pubblicarono Aqualung, un disco che aveva il compito di spazzare via le brutte critiche ricevute all’epoca dal predecessore Benefit. Ebbene la prog rock band di Blackpool seppe riprendersi la sua rivincita e anche i critici più feroci dovettero riconoscere che i Jethro Tull avevano inciso un disco che sarebbe entrato di diritto nella storia del rock.

Deep Purple – Machine Head

Nel 1972 i Deep Purple diedero alle stampe Machine Head. La formazione è quella classica dunque con Ian Gillan alla voce, Ritchie Blackmore alla chitarra, Roger Glover al basso, Ian Paice alla batteria e l’immenso John Lord all’Hammond. Il disco fu registrato a Montreux, Svizzera. Non era certo una novità per le rock band dell’epoca registrare da quelle parti ma la menzione è d’obbligo poiché un incendio che interessò il casinò di Montreux ispirò quello che forse è il brano più celebre dei Deep Purple, Smoke on the water.

 

Rainbow – Rising

Ritchie Blackmore ha fatto cose egregie anche fuori dai Deep Purple e i suoi Rainbow meritano di essere ricordati nella storia del Rock. Rising è il secondo disco composto dalla band ed è segnato da uno stravolgimento della line up. Non fanno più parte della partita Craig Gruber, Micky Lee Soule e Gary Driscoll. Al loro posto Tony Carey ma soprattutto musicisti del calibro di Jimmy Bain e Cozy Powell. Confermatissimo al microfono Ronnie James Dio.

Così composta la formazione entra in studio di registrazione e ne esce con Rising, pubblicato nel 1976. Da segnalare la grandiosa sezione ritmica con il duo Powell/Bain che pesta alla grande e l’ottimo tappeto sonoro tessuto da Carey che s’intreccia con la chitarra di Blackmore. Quanto a Dio… beh, il suo nome dice tutto.

The Jimi Hendrix Experience – Are you experienced

Sono in molti a ritenere Are you experienced uno dei migliori debut album di sempre. Il disco, pubblicato nel 1967 attirò immediatamente l’attenzione di critica e pubblico, anche perché nel frattempo Jimi Hendrix si era fatto notare per aver dato fuoco alla sua chitarra al termine della sua esibizione al Monterey Pop Festival. Va comunque detto che in Inghilterra era stato pubblicato prima di quell’evento e fin da subito i dati di vendita furono lusinghieri.

AC/DC – Back in Black

La carriera degli AC/DC avrebbe potuto concludersi con Highway to hell, ultimo disco registrato con Bon Scott alla voce. Sconvolti dalla morte di Scott, la band pensò seriamente di far calare il sipario. Così non fu, venne reclutato Brian Johnson e gli AC/DC entrarono in studio per registrare Back in Black, un album pieno di hit e tra i migliori della loro carriera.

Pink Floyd – Wish you were here

A leggere il nome Pink Floyd in molti si sarebbero aspettati The dark side of the moon, ma invece abbiamo scelto un disco altrettanto valido secondo noi. Wish you were here è stato pubblicato nel 1975 e nelle intenzioni della band voleva essere una critica al music biz. Il lavoro si apre con la bellissima Shine on you crazy diamond che ha un intro da brividi. Da segnalare anche la title track, molto bella sebbene si tratti un brano semplice.

UFO – Phenomenon

Nel 1974 gli UFO pubblicarono Phenomenon, loro terzo lavoro che tra le altre tracce contiene la hit Doctor Doctor. In particolare Michael Schenker sembra essere molto ispirato. Il chitarrista, all’epoca 18enne, si era già messo in mostra con i tedeschi Scorpions, band fondata dal fratello Rudolf con i quali aveva registrato due dischi.

 

Black Sabbath – Paranoid

Ai Black Sabbath bastarono cinque giorni per registrare uno dei dischi più importanti della loro carriera. Paranoid, che nelle intenzioni originali avrebbe dovuto intitolarsi War Pigs come la opener. L’album ottenne un successo immediato e contribuì a far nascere quello che poi sarebbe stato conosciuto come l’heavy metal.